101 modi per dire di no in Contact Improvisation Limiti e fiducia

By Martin Keogh

tradotto da” Caterina Mocciola

….è importante che le persone sveglie siano sveglie,

altrimenti una linea di rottura le potrebbe scoraggiare riportandole a dormire;

i segnali che diamo, si o no, anche il forse

dovrebbero essere chiari: l’oscurità intorno a noi è profonda.

  • William Stafford

            La Contact Improvisation è una danza che invita il nostro corpo intero e la nostra essenza ad essere presente e disponibile. Per poter danzare questa forma di ballo dobbiamo costruire la capacità di fidarci di noi stessi e dei nostri partner. Nutriamo o danneggiamo tale fiducia tramite la nostra abilità o inabilità nello stabilire e rispettare i nostri limiti.

           Per me questo processo è in continuo sviluppo, anche se ballo da oltre due decadi. In svariati momenti della mia esperienza, mi sono trovato a dover affrontare molte domande: come far sapere alle persone che non ti sei ancora riscaldato abbastanza e non sei ancora pronto a ballare, o che desideri terminare una danza? Come stabilire dei limiti quando si hanno delle limitazioni fisiche o si sta lavorando con un infortunio, o si sta ballando con un partner insensibile?  Cosa fare quando il tuo amante sta ballando in modo sensuale con qualcun altro e ci si sente minacciati? Come intervenire quando un gruppo di musicisti si scambiano occhiate d’intesa e di divertimento, ma sembra si siano dimenticati dei ballerini per cui stanno suonando? Come comunicare ad un duo che la loro rumorosa catarsi emotiva è prepotente e che sta interferendo con le altre danze nella sala? Como vengono comunicati e negoziati questi limiti?

           Uno studente venne ad uno dei miei workshop con una violenta eruzione cutanea su tutto il corpo. Quando dissi: “Trovate un partner”, tutti si allontanarono da dove si trovava lui e così finì per lavorarci insieme. Non mi sentivo a mio agio pensando che il suo sfogo cutaneo potesse essere infettivo e gli chiesi direttamente: “E’ contagiosa?” Mi disse che si trattava di una reazione allergica chiamata mastocitosi che rilascia una grande quantità di istamine che causano la decolorazione della pelle. Mi raccontò della sua lunga lotta e mi rassicurò che non era assolutamente trasmissibile. Mi sentii sollevato, e come avevo sperato, il gruppo aveva origliato, dopodiché lui ebbe pochi problemi a trovarsi un partner.

           Un amico e partner di danza venne al Festival di Contact di Philadelphia dove stavo insegnando e facendo performance. Non vedevamo l’ora di danzare insieme e, alla fine della jam, finalmente ce ne fu la possibilità. Mentre stavamo ballando, diverse persone si avvicinarono per unirsi alla danza. Un paio di volte riuscimmo a comunicare fisicamente che non avevamo ancora finito.  Quando una persona cercò di nuovo di unirsi a noi, dissi: “Sono sei mesi che ci siamo messi d’accordo per questo duo e abbiamo ancora bisogno di un po’ di tempo insieme”. Più tardi parlai con questa persona e mi disse che il mio “no” era stato comunicato chiaramente e cortesemente.

           Ho riscontrato che ci sono occasioni in cui l’intera comunità si riunisce per aiutare singoli individui a stabilire limiti. A metà degli anni ’80 molte donne che ballavano alla jam settimanale di contact a Berkley, in California, si lamentarono di un uomo in particolare che frequentava la jam regolarmente. Lo chiamerò Roland. Dissero che ballare con lui non era piacevole a causa della sua mancanza di consapevolezza dei limiti altrui. Era difficile per le donne descrivere il comportamento che a loro non piaceva; potevano solo descriverlo come una “sensazione”.

           Una di loro racconò: “Ballare con Roland è come ballare con un cucciolo sovreccitato, del tipo che cerca di montarti la gamba”. La sensazione generale era che si “eccitasse” durante la danza, e rubasse qualcosa che non gli era stato offerto dalle sue partner.

           Non era difficile notare che quasi tutte le volte che una giovane donna entrava nella jam per la prima volta, la testa di Roland, in qualunque punto della stanza si trovasse, si sollevava per osservare la nuova venuta. Entro pochi minuti si trovava al fianco della ragazza, offrendole di illuminarla sui punti più importanti della contact improvisation. Molte di queste donne non si fecero più vedere alla jam.

           Nonostante molte donne potessero parlare di Roland, si scoprì che la maggior parte di loro non gli aveva mai detto nulla direttamente. Era difficile per loro percepire questa sensazione stucchevole proveniente da quest’uomo e, nonostante ciò, avere elementi quasi irrilevanti di cui poterne parlare con lui. Mi ricordo che una donna una volta disse: “Parlare con lui sarebbe come lamentarsi del tempo; non servirebbe a nulla”.

           Roland frequentava regolarmente la Jam di Contat della California del Nord (North California Contact Jam), una jam residenziale di cinque giorni presso le terme di Harbin. E’ proprio là che imparai da una delle organizzatrici, Sue Stuart, una lezione su come esprimere i limiti. Una sera ero presente quando un paio di donne si sedettero con Sue per lamentarsi di Roland. Volevano che lei facesse qualcosa.

           Sue domandò: “Avete detto qualcosa a Roland?” Al sentire la loro risposta negativa, domandò: “Cosa gli vorreste dire?” Entrambe articolarono quello che avrebbero voluto dirgli. Una disse: “Ho la sensazione che ti ecciti sessualmente quando balli con me, e non voglio ballare con te né che ti avvicini a me finché non riesci a controllare i tuoi desideri sessuali”. Dicendo ciò ad alta voce, la donna fu in grado di parlare con Roland prendendolo da parte. L’altra donna non se la sentì di confrontarsi direttamente fino a quando Sue si offrì di accompagnarla e di starle vicina.

           Ero impressionato dal fatto che Sue rispose alla richiesta delle due donne offrendo loro gli strumenti per occuparsi della questione da sole, piuttosto che permetter loro di consegnare la propria forza a lei, la persona che rappresentava l’autorità. Roland si scusò e disse che avrebbe provato a cambiare comportamento.

           Un paio di mesi più tardi era chiaro che Roland aveva cambiato il suo atteggiamento con le donne che frequentavano regolarmente la comunità. Nonostante ciò, il suo radar di risvegliava di nuovo quando donne nuove si presentavano alla jam settimanale. Alcuni degli uomini che si resero conto della situazione, incluso me, lo presero da parte e con senso dell’umorismo gli spiegarono ciò che avevano percepito. Gli dicemmo che stava danneggiando la comunità e che doveva smettere di comportarsi così o di non più  venire alla jam. Siccome lo avvicinammo con leggerezza, capì la gravità della situazione dal fatto che così tanti di noi avevano fatto la stessa osservazione. Roland effettivamente cambiò e ora, oltre una decade più tardi, continua a ballare regolarmente in una comunità accogliente.

           In questo caso tutto andò bene sia per Roland, sia per il gruppo. Tuttavia, ho sentito di situazioni similari sia con uomini sia con donne che non ebbero un esito così positivo. Agli individui coinvolti fu chiesto di non tornare più.

            Dalle mie continue domande su ciò che è necessario fare per stabilire limiti chiari ed effettivi, ho sviluppato un workshop chiamato “101 modi per dire no in contact improvisation” (101 Ways of Saying No to Contact Improvisation). Le premesse del workshop consistono nel fatto che fino al momento in cui una persona non ha la sicurezza e l’abilità di dire no a qualcosa, non avrà la fiducia e l’abilità di dire sì completamente a tale cosa. Durante il workshop si esplorano abilità fisiche e verbali di dire no ad una danza, al tocco, all’essere sollevato, allo scambio di peso, al momentum, alla manipolazione.

           Per esempio, quando qualcuno si allunga per afferrarmi e sollevarmi e io non voglio essere sollevato, posso fare cadere il mio peso verso il basso e allontanare il baricentro da quello del mio partner. Divento troppo pesante per essere sollevato. Ho chiaramente detto di no. Con tale consapevolezza nel saper dire no, posso estrapolare l’opposto; quando voglio dire sì e cogliere l’opportunità di volare, già ho la sensazione dentro di me di diventare leggero sollevando il mio baricentro al di sopra di quello del mio partner e così riorganizzandolo.

           Lo stesso è valido per il tocco. Ho bisogno della fiducia in me stesso e l’abilità di rimuovere la mano di qualcuno (sia fisicamente sia verbalmente) quando non voglio essere in contatto con quella persona o essere manipolato. Con la sicurezza nella mia abilità a stabilire i miei limiti, posso scegliere l’opposto e aprirmi al tocco.

           Robert Bly nel suo libro “Un libretto sull’ombra umana” (A Little Book on Human Shadow) ci offre un’immagine molto utile di una porta che ci permette di accedere alla nostra psiche. Da bambini, la maniglia si trova all’esterno e la gente entra ed esce a proprio piacimento. Maturando e diventando adulti, impariamo a trasferire la maniglia all’interno scegliendo quando e a chi chiudere o aprire la porta. Se siamo consapevoli di poter chiudere la porta, siamo più liberi di aprirla invitando chi vogliamo.

           Alcune persone avvicinandosi a questa forma di danza, trovano difficile stabilire una connessione con le sensazioni del proprio corpo. Ciò può essere il risultato per persone che, in fasi precedenti della propria vita, abbiano forzato l’attraversamento di tale porta. Per coloro i cui limiti sono stati frantumati da bambini, è possibile che si siano creati uno scudo o un’armatura protettiva che li trattiene dall’instaurare un contatto completo con il proprio corpo e con il mondo. In questi casi, è particolarmente importante sviluppare la capacità di creare limiti per se stessi, al fine di avere la consapevolezza che tale maniglia si trova all’interno. Con l’abilità ad esprimere i propri limiti,  si può cominciare ad abbassare gli strati protettivi e ad aprire nuovi canali nell’ambito del contact e, soprattutto, nella vita.

           Nella contact improvisation esiste un principio basilare per cui ogni persona è responsabile di se stessa. Sono l’unica persona che si trova all’interno del mio corpo, devo pertanto mantenere all’erta una parte di me, la parte che percepisce e comunica (fisicamente e verbalmente) le mie necessità, i miei limiti e i miei desideri. Devo assicurarmi di rimanere incolume e di non far male a nessun altro. Scegliendo di aderire a questo principio e di continuare a praticarlo, è un modo per spostare la maniglia all’interno.

           Durante il workshop “101 modi di dire no…” insegno un’altra misura di sicurezza, pensata per imparare a comunicare velocemente in situazioni ad elevata energia. Impariamo a gridare parole e monosillabe che richiedono attenzione immediate: “Stop!”, “Indietro!”, “Aspetta” (non usa più il “No” perché è una parola ricca di sfumature e che, come chiunque abbia un bambino sa bene, è incline ad essere messa alla prova). Ci esercitiamo anche ad esclamare parole indicanti le parti del corpo che sono doloranti o che potrebbero esserlo: “Ginocchia!”, “Caviglia!”, “Collo!”. È raro che ciò venga utilizzato, ma sapendo che queste parole possono essere utilizzate, si va a rassicurare la psiche permettendoci di aprirci a danze potenzialmente più atletiche, acrobatiche e che disorientano.

           Mentre sviluppavo il materiale per il workshop, desideravo trovare un esercizio che dimostrasse chiaramente che l’abilità di una persona a dire no creasse una maggiore capacità a dire sì. Il risultato di questa investigazione è sfociato in un esercizio chiamato “I due fiumi” (Two Rivers).

           Non introduco questo esercizio finché il gruppo non abbia lavorato insieme per un po’. Una persona, il ricevente, giace sulla schiena mentre le altre due, “i due fiumi” (two rivers), fanno al ricevente lente e fluide carezze, guidate da segnali dati dalle braccia del ricevente. Quando quest’ultimo incrocia le mani sopra il torso significa: “Non toccarmi”. Quando le braccia giacciono ai lati del torso, significa: “Toccami gentilmente come faresti se fossi in un luogo pubblico”. Quando le braccia giacciono sopra la testa: “Puoi toccarmi ovunque, non ci sono limiti”. La persona che riceve le carezze può cambiare la posizione delle braccia in qualsiasi momento.

           Il tocco può essere calmante, di arricchimento, sensuale o sessuale, ma chi riceve mantiene sempre in controllo di ciò che sta succedendo e regolare le chiuse dei due fiumi. I due fiumi vengono istruiti del fatto che, in qualunque posizione si trovino le braccia del ricevente, sono tenuti a toccare esclusivamente secondo ciò che li faccia sentire a proprio agio.

           È chiaro ai partecipanti che se l’esercizio non comprendesse il punto: “No, non toccarmi ovunque”, non sarebbero in grado di offrire un sì completo ad essere toccati ovunque. Grazie a limiti ben definiti e chiari, si è in grado di chiedere di più di quanto non si potrebbe se non ci fossero limiti. Essendoci tanta consensualità implicita in questa forma di danza,  praticare quella esplicita ci permette maggior agio con il tacito accordo che si instaura in ogni momento della danza.

           Dopo un workshop che incluse l’esercizio dei “Due fiumi”, uno degli studenti mi mandò un’email con una citazione di William Blake:

“Non si sa mai quanto sia sufficiente a meno che non si sappia quanto sia piu’ che sufficiente. La lussuria della capra è la generosità di Dio. La strada degli eccessi conduce al palazzo della saggezza”.

Divenne famosa la frase di Steve Paxton: “Contact Improvisation non è un gioco di ghiandole” (Contact Improvisation is not a gland game) intendendo, in parte, che non si tratta di una danza sessuale. Spesso mi capita di sentir dire: “Amo questa forma di danza perché si tratta di una forma non sessuale di essere in contatto fisico in modo affettuoso e giocoso con le persone”.

           Per me questo non rappresenta la verità. Sono sempre consapevole di me stesso in quanto essere sessuale. Ogni mio respiro è sessuale. Quando ballo con una donna percepisco un certo rapimento;  sono orgoglioso di essere uomo quando ballo con un uomo. Non posso amputare questa parte di me.

           Di certo non voglio che i miei partner percepiscano che sto utilizzando la danza per eccitarmi. A volte mentre ballo mi immagino che il mio partner ed io stiamo impersonando un corteggiamento antico di cento anni. Non stiamo cercando di andare da nessuna parte. Senza chiudere nessuna parte di me stesso, sono in grado di ballare con quella parte gustosa di me, sveglia e consapevole. Autentico e spontaneo, il contact implica saper rinunciare alla necessità di guadagnare qualcosa o di giovare da questo scambio. In questo abbandono, si può ballare questo stile di danza mantenendo la propria sessualità viva.

           Ogni volta che si balla, viene messo alla prova il significato della parola consensuale. Accetterai il mio peso? Possiamo andare veloci? Possiamo andare molto, molto piano? A volte incontro qualcuno e in totale accordo apportiamo un’energia erotica o seduttiva alla danza. Ci muoviamo al suo interno concentricamente mettendo alla prova ciò che è ben accetto per entrambi. Lo scambio è fatto in sicurezza in quanto siamo guidati dal nostro senso di comportamento appropriato all’interno dell’ambiente di una jam.

           Quando nel cortile di casa sono seduto a guardare i miei bambini giocare con gli amichetti, i loro giochi improvvisati sono un continuo stabilire limiti, per poi metterli alla prova. A volte, giocando si trasformano in famosi paleontologi portando in superficie il più grande dinosauro mai scoperto. A volte fondano imperi, correndo con le loro spade e scudi fatti di cartone, camminando a carponi all’interno di fortini sotto le siepi – facendo, rompendo e negoziando le regole durante il gioco. A volte si tratta di un segnale del corpo o una parola; altre volte smettono di giocare completamente una volta stabilite le regole del gioco. Lavorano costantemente per fare in modo che il flusso di attenzione e il potere sia equilibrato e corretto. Assomiglia molto a ciò che facciamo nelle nostre comunità di danza.

           Nel corso degli anni c’è stato una costante negoziazione di limiti all’interno della jam di contact della California del nord. Il gruppo ha dibattuto su quanta struttura fosse necessaria, quanta catarsi emotiva o musica fossero accettabili all’interno dello spazio dedicato alla jam. Durante il corso delle prime dieci jam, mentre stabilivamo i nostri accordi espliciti ed impliciti, ci sono stati molti casi in cui si è passati il segno trasformando la discussione in litigio. Con il tempo abbiamo imparato che, semplicemente ascoltandoci a vicenda, avevamo scoperto ciò che era necessario per trovare l’equilibrio fra desideri opposti. Non c’era bisogno di decisioni esecutive. Partecipando al conflitto e ascoltando il parere delle varie persone coinvolte, permettemmo alla soluzione di evolvere naturalmente.

           Notai che le jam caratterizzate dai conflitti più forti sembrava che alla fine dimostrassero la gratitudine più sincera, a volte anche caratterizzata da lacrime. Quando eravamo completamente assorbiti dallo stabilire i limiti per poi metterli alla prova, si riscontrava un senso di apprendimento, di creazione di relazioni, di essere parte di un gruppo vivo che ci lasciava con un profondo senso di apprezzamento reciproco.

           Fare parte di un gruppo di ballerini e lavorare continuamente sulla chiarificazione dei limiti, mi sembra come di abitare in una centrifuga per sassi – uno di quei contenitori che si riempie di sassi per poi farlo centrifugare per giorni e giorni in modo tale che i sassi si puliscono l’uno contro l’altro. Mentre si impara a percepire e ad esprimere i nostri limiti, cadiamo, ci scontriamo e ci colpiamo a vicenda sia fisicamente sia figuratamente. Può far male mentre le punte aguzze si arrotondano, ma con il tempo si smussano gli angoli, mostrando lentamente la pietra preziosa che ci contraddistingue. Attraverso questo processo si comincia a far tesoro dell’entità vivente che si chiama “comunità” che ci aiuta a sviluppare una grande capacità per il sì – nella danza e nella vita.